Nostalgia canaglia

Il rischio più evidente è cadere nel nostalgico, raccontare il classico e stucchevole “c’era una volta” dipingendo un favoloso mondo felice, fatto solo di epica. Un mondo popolato di grandi e piccoli “eroi” del panno verde, mentre oggi tutto sarebbe sbagliato, tutto, alla Bartali, da rifare. L’evoluzione del biliardo, anzi delle boccette, che abbiamo (forse impropriamente) sintetizzato nel titolo “Dal bar allo sport”, è fatta di molteplici aspetti. Non necessariamente positivi o negativi. E comunque qui non mi interessa tanto esprimere opinioni, men che meno giudizi. Quello che vorrei fare è quello che ho fatto per tutta la mia vita di cronista: raccontare, descrivere, testimoniare.

Vi dicevo del rischio di sfociare nel ricordo “zuccheroso”. Si fa presto. Pensate solo che avevo 20 anni o poco più mentre adesso ho passato i 60. Passavo serate e nottate fatte di biliardo, di giochi d’azzardo di vario genere (non ne vado fiero), di spaghettate e di altro che potete facilmente immaginare (no, non mi sono mai fatto nemmeno una canna, pensate un po’!). Ah sì, dovevo anche studiare. Quando mi ricordavo di farlo. Volete che non provi nostalgia per quel mondo, per quel periodo della mia vita? Volete che non pensi con rimpianto e orgoglio a un migliaio di persone che erano lì sugli spalti, lì per guardare i giocatori di biliardo e per guardare anche me (perfino me!!!) al palasport di piazza Azzarita a Bologna, mentre anch’io (perfino io!!!) tentavo di abbattere birilli lanciando boccette dietro a uno dei rettangoli verdi piazzati a pochi metri dai più gloriosi canestri d’Italia?

Spalti affollati nei palasport per il biliardo

Già, quelle notti e quel mondo. Da studiare antropologicamente. Quei bar prima pieni di fumo, poi, per fortuna, solo di biglie, carte, lazzi e scazzi, ironia e goliardia a profusione.  Quelle notti e quel mondo in cui, è la prima cosa che mi viene da pensare, certe gerarchie della vita si azzeravano o addirittura si invertivano. C’era il dirigente d’azienda e c’era l’operaio, c’era il primario e c’erano gli infermieri, c’era il grande musicista e c’erano quelli che andavano, come dicono a Bologna, “per cartoni”. Senza evidenti differenze che non fossero, ma non sempre, il maglione di cachemire o la camicia firmata. Tutti uguali, lì intorno ai biliardi e ai tavolini delle carte, fino a notte fonda. O magari differenti, ma solo perché l’operaio faceva filotto “tutti i cucci” mentre il dottore, insomma sì, anche lui ci provava, ma con scarsi risultati.

I bar com’erano un tempo. Fava in azione, Trebbi osserva.
Scorcio della sala del Nuovo Manzoni di Bologna intitolata a Gino Cavazza

Ecco quel mondo lì non c’è più. Non ci sono più i bar di una volta, verrebbe da dire. Giusto o sbagliato che sia. Oppure no, qualche bar come quelli ancora esiste. Bisogna saperlo scovare, come spiega molto bene Stefano Benni: “Mi chiedono se dopo trent’anni il bar Sport esiste ancora. Quel vecchio ritrovo che non era solo luogo di consumo, ma teatro di racconti e ironia. Credo che i bar sport della mia giovinezza siano una razza in estinzione, come le balene e le macchine da scrivere. Ne sopravvivono alcuni nelle periferie delle città e soprattutto nei piccoli paesi. I sociobarologi sanno dove trovarli, ma conservano gelosamente il segreto”. E ancora Benni: “Non ho nostalgia del bar Sport, ma delle storie che ci sentivo. Inventate, raccontate, esagerate, e soprattutto create personalmente. Cominciavano così: ‘Sentite amici cosa mi è successo ieri’. Adesso entro in un bar e sento: ‘Sentite amici cos’è successo ieri a Briatore’. Sarà anche una bella storia, ma io esco”. 

Ok, per oggi vi lascio con un’altra citazione sul tema, che questa volta viene dalla Liguria: “Ero bravo nel gioco delle boccette. A Genova c’erano sale che contenevano fino a venti biliardi. Neanche fosse stata New York. La sera tardi arrivavano i campioni veri. Lì, su quei tappeti verdi che non avevano niente di ecologico, ho imparato le strategie fondamentali della vita. Se ho capito qualcosa della vita lo devo al biliardo; a un ambiente fatto di astuzia, abilità, intelligenza. Geometria e invenzione”. Germano Celant, storico dell’arte, ad Antonio Gnoli (La Repubblica).

6 risposte a “Nostalgia canaglia”

  1. Vorrei commentare la foto che ritrae una finale provinciale a squadre al Palazzarita, si trattava di Celsi Imola contro Coop Anzola e si può notare uno scorcio del pubblico che, giornali dell’epoca stimano in un paio di migliaia.
    Sulla sinistra si vede Lambertini (rip), non capisco perchè il buon Saetta (Agostini Tonino Carlo), noto per il carattere irascibile, gli permetta di rimanere appoggiato al biliardo mentre sta provando.
    Nell’altro biliardo sta provando Martelli, campione Italiano insieme al mio grande amico scomparso circa un anno fa Cantelli Romano, quello che non si vede sono io che stavo aspettando il mio turno di prova.
    Per la cronaca era il 1973 e la finalissima finì 3 a 3, unica volta nella storia delle boccette, il titolo venne assegnato ex-aequo in quanto ci trovavamo in piena austerity e si dovevano concludere gli incontri entro la mezzanotte o giù di lì.
    Come il caro Andreoli, anch’io non vorrei risultare stucchevole etc etc, ma voglio dire che quello era il BILIARDO e adesso è tutta roba da buttare.

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