E poi dicono che su Internet trovi tutto. Io ho provato a scrivere Circolo Celsi Imola su Google ma non mi è saltato fuori quello che cercavo. Eppure me lo ricordo bene il Celsi in via Emilia, proprio dove adesso c’è la sede di Legacoop. Me lo ricordo perché lì, intorno ai miei 18-20 anni, si sono giocate alcune tra le più straordinarie partite di biliardo, pardon boccette, a cui ho assistito.
Impressa nella mia mente c’è tuttora la nitida visione di una sala con due biliardi, di fronte ai quali saliva molto ripida una tribuna formata da diversi gradoni di legno. Sempre piena, stipatissima il venerdì sera quando a sfidare la squadra imolese arrivavano le più forti formazioni di Bologna.
Chiariamo subito un concetto: se parliamo di boccette, negli anni Settanta dire “i migliori giocatori di Bologna” significava parlare dei più forti in Italia, assieme ai romagnoli e a pochi altri. Il Celsi era l’unica squadra di Imola, in quei tempi, ammessa a partecipare al campionato di vertice. Era insomma una sorta di Nazionale imolese, se mi passate il termine.
Il capitano del Celsi (nel biliardo si chiama ancora così il selezionatore, spesso non giocatore, di una squadra) era un certo Dal Fiume. Non ricordo il nome di battesimo, mi pare facesse l’infermiere. Era lui che tutti gli anni in estate sceglieva i giocatori e formava la squadra, destinata poi a competere con i mostri sacri del panno verde. Due singoli e quattro coppie per ogni incontro. Più almeno un paio di riserve. Non credo che allora fossero previsti compensi, o rimborsi spese. Potrei sbagliare, ma il solo fatto di essere selezionati per indossare la maglia del Celsi era una molla a cui nessuno sapeva resistere.
Qui adesso dovrei fare i nomi dei giocatori che hanno fatto parte di quella squadra. Impossibile ricordarli tutti. Ne cito solo alcuni alla rinfusa, scusandomi con gli altri: Agostini (Saetta), Minardi, Manaresi, Bassi, Poggi (la Baldracchina), Brusa (Thomas), Lazzerini, Sassoli, Cestari… Con la maglia del Celsi ha giocato ovviamente anche Luca Casadei, che ancora molto giovane ma già fortissimo venne subito ingaggiato dall’attento Dal Fiume. E Beppe Trinca, di cui ricordo una straordinaria partita giocata contro Stecchino.
Stecchino scendeva da Milano ogni venerdì e a lui qualche soldo lo davano di sicuro, almeno per il viaggio. Di cognome faceva Flumini e non c’è bisogno che vi spieghi il motivo del suo soprannome. Era un giocatore formidabile, di una classe immensa, uno dei più forti di tutti i tempi. Si diceva che vivesse di biliardo. Ma quella sera Trinca era ispiratissimo e fu uno scontro straordinario, punto a punto, finché con l’ultima boccetta Beppe fece un tiro che ancora adesso non riesco a spiegarmi. In un groviglio in apparenza inestricabile di palle bianche e rosse, vicinissime al pallino blu, la sua arrivò con la giusta forza e precisione, allontanando in un colpo solo tutte quelle del rivale e confezionando gli otto punti a colore che chiusero la partita. Roba da lucciconi agli occhi, da applausi a scena aperta che infatti fioccarono.
Io al Celsi ci andavo ogni volta di corsa, dopo la mia partita di categoria inferiore giocata prima con la maglia del Las Vegas e successivamente con quella del Moto Club. Arrivavo e la tribuna era già invariabilmente piena. Nonostante il vantaggio dell’altezza superiore alla media, non era per nulla semplice assistere alle sfide. Guardavo tra le teste, mi intrufolavo e pensavo chissà, forse prima o poi ce la farò anch’io a giocare in Nazionale. E in effetti la sfiorai nel ’76, quando avevo 21 anni. Dal Fiume mi incontrò casualmente per strada e mi fermò. Senza tanti giri di parole mi disse che aveva pensato a me come bocciatore di una delle quattro coppie per il campionato successivo. Dava per scontato che avrei accettato. Il solo fatto che me l’avesse chiesto fu una grande soddisfazione, ma dovetti a malincuore rifiutare: proprio quell’anno a ottobre sarei partito per il servizio militare. Quando tornai era cambiato tutto e la squadra di biliardo del Celsi non esisteva più. Ma almeno una volta il campionato con i fenomeni di Bologna, Imola l’aveva vinto, sia pure a pari merito.
Non ricordo l’anno esatto ma andò così. Allora le finali si giocavano al Palasport di Piazza Azzarita, davanti a un pubblico che gremiva un intero lato degli spalti. A suon di vittorie, il Celsi arrivò all’ultimo scontro, non ricordo contro quale squadra bolognese (forse il fortissimo Manzoni di cui prima o poi parlerò in questo blog), e la sfida finì 3-3. A quel punto si sarebbe dovuto procedere a uno spareggio secco tra due coppie scelte dai capitani. Ma si era fatto tardi ed era l’anno dell’Austerity. Se siete abbastanza stagionati ve le ricordate, quelle giornate in cui si circolava solo a piedi, in bici e qualcuno per muoversi rispolverava perfino i pattini a rotelle. Insomma, il diktat del custode fu chiaro: non c’erano santi, bisognava spegnere le luci. Così venne deciso che la vittoria quell’anno sarebbe stata assegnata a pari merito.
Molto di quanto raccontato corrisponde al vero, se vuoi il mio contributo per quanto riguarda i ricordi, devi solo farmi sapere ai riferimenti che ti lascio.
Grazie Luca, ne approfitterò certamente e quando trovi errori od omissioni non devi fare altro che dirlo.