Complicità e ricatti

Avviso ai naviganti: oggi non parlo di biliardo. Per cui potete tranquillamente sorvolare. Avendo deciso che i social non fanno più per me può succedere che qualche volta io sfrutti il blog per scrivere qui quello che mi viene in mente. Di tutto e di… meno. Ho creato anche le categorie perfette allo scopo: “divagazioni” e ancora meglio “chissenefrega”. E comunque questa è casa mia per cui… fatevene una ragione. Oppure, se preferite, andate oltre. Non mi offendo.

Vai allo stadio, paghi il biglietto, lo spettacolo non ti piace, hai tutto il diritto di contestare, di fischiare eccetera. Come a teatro o come a un concerto. Non hai però il diritto di insultare nessuno.

Nel calcio si assiste sempre più spesso a uno spettacolo penoso. A partire dai cortei che la sera vanno a contestare davanti agli alberghi dove si trovano le squadre. E poi la pretesa dei cosiddetti capi ultras di confrontarsi, di parlare coi giocatori, con le società. Parlare per dire cosa. Quale ruolo, quale diritto si arroga sta gente che spesso è collusa con la criminalità organizzata. Cosa dovrei spiegare, io giocatore, a un tipo che durante le partite se ne sta 90 minuti con le spalle al campo, rivolto alla curva, dirigendo i cori con un megafono alla bocca. E chissà se il biglietto l’ha pagato davvero. Anzi, molto probabilmente avrà lucrato in qualche modo sulla partita.

Insomma sarebbe ora di darci un taglio con questa schifosa complicità, immagino nata sul ricatto, che esiste tra le società di calcio, penso nessuna esclusa, e la parte più malata e maleodorante del tifo. Che tifo in realtà non è, ma è ben altro.

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