C’è una frase che Valerio Veronesi pronunciò nell’estate del 2020, quando Massimo Berselli e Valerio Alvisi lo intervistarono a lungo riportandolo anche con la mente al biliardo del passato. Me la sono segnata perché immaginavo che prima o poi avrei avuto l’occasione giusta per citarla: “Se dovessi fare uno spot per le boccette sceglierei due persone ai vertici per stile: il miglior Guido De Cet e il miglior Gino Cavazza”. E si potrebbe anche chiudere qui.
A Bologna, ai miei tempi, di Cavazza ce n’era più di uno. Io per esempio non ho mai saputo quale fosse quello che chiamavano “Cavazzino”. Su chi fosse il più forte però non c’erano dubbi: era il Cavazza che di nome faceva Gino. Un concentrato di classe, signorilità, mi verrebbe da dire addirittura nobiltà se non temessi di esagerare: stiamo pur sempre parlando di biliardo.
Gino era diverso dalla maggior parte dei giocatori. Vinceva (spesso), perdeva (a volte), ma alla fine sembrava quasi che il risultato per lui fosse un dettaglio non particolarmente significativo. C’è una frase attribuita a Rudyard Kipling che mi viene in mente adesso se ripenso a Cavazza: “Che tu possa incontrare la vittoria e la sconfitta e trattare queste due bugiarde con lo stesso viso”. Ecco, magari mi sbaglio, forse era solo apparenza e dentro anche lui aveva il fuoco, ma Gino quando giocava a biliardo mi pareva fosse l’interpretazione vivente di questo aforisma. Valerio Veronesi mi perdonerà se chiedo ancora una volta aiuto a lui. “Gino per me era un amico vero, grande, incredibile, non solo il compagno delle sere nei bar. Era un po’ diverso dagli altri, aveva la leggerezza del destino, si avvicinava al biliardo da principe”.
Ricordo che Cavazza fu, assieme a Checco Fava, uno dei trascinatori del Moca Crem, ma non si può non citare anche il mitico Manzoni. Intendo quello nella splendida sede storica di via Don Minzoni, dove tutti, ma proprio tutti i giocatori bolognesi di biliardo si ritrovavano per trascorrervi anche intere nottate. Fu soprattutto in quel luogo, negli anni Settanta e Ottanta, che andarono in scena sfide epiche e scontri memorabili, con un contorno di passione mista a goliardia che Gino sapeva condire con grande ironia, anche grazie a una cultura superiore alla media. Di quel mondo parlerà diffusamente il figlio Alessandro nel suo libro “Dal bar allo sport” di prossima uscita. Io qui vorrei solo ricordare che al Nuovo Manzoni, purtroppo chiuso definitivamente qualche mese fa, avevano intitolato una delle due sale con i biliardi proprio a Gino Cavazza.
Ma io ho già scritto anche troppo. Ora lascio spazio a chi Gino Cavazza l’ha frequentato e conosciuto davvero.
Luca Casadei: “Contro Gino ho giocato alcune volte e sempre mi ha battuto, sempre in volata e solo adesso ho capito il perché: con lui non riuscivo ad essere “cattivo” intendo agonisticamente, se mi pestava un piede mi chiedeva scusa, se scivolavo sulla pedana si metteva alle mie spalle e me la teneva impuntata, e altre piccole gentilezze che, in qualche modo, non mi permettevano di tirare fuori tutto il meglio. Poi viene a giocare al Bar Casella, squadra dove ero ormai di casa da anni, non ricordo nemmeno se abbia fatto un paio di partite, accusa per la prima volta problemi cardiologici e subisce un intervento, il medico gli dice guai a fumare, guai a giocare a carte, guai a subire stress e quindi proibito anche il biliardo. Lui se ne frega e gioca ugualmente, tanto dice che sta calmo, quindi il cuore non ne risente.
Gino era un compagnone e tirar tardi da Ivo in Braseria era una cosa normale, la sua era un’ironia che non sconfinava mai nella volgarità, gli permetteva di prendere per il culo e i malcapitati neanche si arrabbiavano. Dopo circa trent’anni ci incontriamo una sera al Manzoni, io avevo avuto un grosso problema di salute e lui lo sapeva. Mi ha abbracciato fortissimo, ho avvertito un affetto che sinceramente non mi aspettavo, abbiamo parlato tutta la sera del passato e organizzato una cena, manco a dirlo da Ivo al Campione. Dopo alcuni giorni si tenne la cena, presenti Veronesi, Trebbi, Pedriali, Beppe Dalmonte e altri, anche lui, che oltre ad avere avuto altri problemi con il cuore aveva diverse patologie abbastanza importanti. Quella sera mangiò e bevve anche troppo, ma disse che non era mai stato così bene, naturalmente per la compagnia.
Voglio ricordarlo in quel modo, dopo pochi mesi mi avvisarono che se n’era andato”.
E ora Valerio Alvisi: “Gino era uno spettacolo puro per il suo lancio di palla con 300 tiri nel braccio, sbracciate da destra e da sinistra, grande tattico e calcolatore. Non era un gran filottista ma ne faceva tanti, non era un gran puntista ma teneva più pallini dei suoi avversari. Epica la finale di Campionato Italiano nel 1983 con Fava. Se la meritavano entrambi. Il giorno dopo, al Manzoni, non mi disse che era stato sfortunato come fanno quasi tutti, disse “è giusto che abbia vinto Checco perché è il più bravo”. Erano i due singoli del fantastico Moca Crem di San Matteo della Decima e in quel periodo Fava era ospite proprio a casa di Cavazza. Gino rispettava tutti, ma non aveva timore di nessuno. Era glaciale nei finali di partita. Faceva parte di quei giocatori di braccio epici: Tassi, Bondi, Cavina, Maccioni, Deri, Vedovati, De Cet e tanti altri. Grandi geni e miti di un grande biliardo. Dispiace per quelli che si sono persi un genio come il grande Gino”.
Ora un gustoso episodio raccontatomi un paio di anni fa da Maurizio Mizzio Maselli: “Tra milioni di battute e prese per il culo, una che mi sta molto a cuore è stata al funerale di Gino Cavazza. Siamo in chiesa con la bara aperta e Di Terlizzi mette dentro la bara due boccette e un mazzo di carte. In quel momento il prete si gira e dice “mettiamo anche un santino”. Una voce da in fondo alla chiesa urla “hoo al prit la sughè un cara” (il prete ha giocato un carico). Ci fu una risata generale”.
Infine alcune foto.
Aggiungo un link inviatomi da Alessandro Montanari
Grazie a Valerio Alvisi, Luca Casadei, Valerio Veronesi, a Tino Ravaldi per l’aiuto a recuperare le foto e a Mizzio Maselli ovunque sia ora.
Fantastico ricordo!!… poi l’aneddoto del prete credo sia una cosa unica di quella generazione di persone… tipo come mio nonno Alberto, che al suo funerale, io avevo solo 4 anni ma lo ricordo bene, non volle neppure il prete ma la banda che suonava, e il passaggio davanti ai due bar dove gli amici avevano la bevuta pagata e lo aspettavo per l’ultimo saluto!.
Sì è vero. C’era un amore particolare per la goliardia stile Amici miei che adesso si è un po’ perso. Assieme alla capacità di coltivare l’autoironia.
Eh sì hai proprio ragione Maurizio!
Il nonno Alberto, da quello che mi ha raccontato mia mamma, aveva sempre voglia di scherzare e stare con gli amici, e lo ha fatto fino all’ultimo giorno.
L’ho visto solo una volta a Genova!!! Giocatore di un ‘eleganza unica oltre che fortissimo a tutto braccio!! Non vedo l’ora che esca il libro di Alessandro!!! Cannavino Paolo!!!!
Grazie. Il libro credo uscirà tra poco.
Urge ringraziare pubblicamente l’amico Maurizio Andreoli per il bellissimo articolo.
Il “Cavazzino” di cui si parla in realtà è proprio mio padre Gino anche se il nome più spesso usato era “La Cavazzina”. Privatamente ho già espresso a Maurizio la mia gratitudine ma, a prescindere da mio padre, anche tutti i lettori di questo fondamentale blog dovrebbero essere grati a Maurizio.
Avere un giornalista professionista del livello di Andreoli che racconta questo sport è una opportunità che va colta da un settore che in questo momento ha bisogno di fare un serio esame di coscienza sul proprio futuro.
Andreoli, Veronesi e la sua disponibilità a collaborare per il bene delle boccette, il mio libro, e altre consimili iniziative.
Dobbiamo costruire sulle migliori fondamenta di questo sport per rilanciarlo nel futuro e Andreoli col suo blog sta diventando una parte importante di questo rilancio.
Grazie a te. Troppi complimenti.
affascinanti come
sempre i tuoi racconti
grazie oltre a Maurizio anche alle memorie
storiche di Alvisi Veronesi e Casadei
spero di non essermi dimenticato nessuno
GRAZIE 😊
Grazie.
Non l’ho mai incontrato il mitico Cavazza ma visto giocare sì da qualche parte in giro per l’Italia, come giocatore era un fenomeno con un braccio come pochi, come persona non l’ho visto tante volte ma quelle poche sempre col quel sorrisino sulle labbra, anche nella concentrazione della partita e un freddo in dirittura d’arrivo.
Gran braccio dolce direi.
Grande Gino che eleganza…..appena trasferito a Bologna fine 92. al Manzoni di via del Lavoro rimanevo a bocca aperta a vedere giocare Gino sulle buche…..uno spettacolo e un gran signore!
Grazie.
Anche io ho un ricordo di questo grande personaggio . Premetto che non lo conoscevo se non da racconti quasi mitologici . Non ricordo bene l’anno, credo primi 90 , quello che ricordo è che Cavazza tornasse al President di Forlì per la gara Nazionale Artusi dopo una lunga assenza perché quando ci hanno chiamato al biliardo tutto il pubblico presente ha iniziato ad applaudirlo e in tantissimi sono scesi dalla tribuna per stringergli la mano, una liturgia durata diversi minuti ….quasi quasi volevo scomparire ! Iniziamo a giocare e nei primi sfogli , forse un po’ portato dalla atmosfera che si era creata , dà spettacolo tirando 10/ 12 palle che io non sono neanche riuscito a mettere a fuoco . Poi mi esce una partita perfetta a sponda bassa e riesco a batterlo . Viene a darmi la mano con un sorriso stampato sul viso e mi fa : “ Bravo ! Ma dì…. te da dove scappi fuori ? “ Uno spettacolo !!!
Grazie. Bel ricordo.
Ho avuto l’onore di giocare in squadra con lui all’ippodromo in serie A2 e mi ricordo una partita spettacolare tra lui e mangia brilli inizio ore 21 tiro partita di lzzi che poi vince con tale ultimo tiro ore 21,, 10. Purtroppo mi ricordo bene che Gino a queel”epica iniziava già stare molto male infatti molte partite non le aveva disputate e comunque un ricordo bellissimo anche se breve grazie Maurizio e al figlio Alessandro per tale sforzo immenso per tenere vivo il ricordo del biliardo romantico. Premessa però se vogliamo che tutto questo non vanisca per onore i vecchi ricordi ora tutti insieme bisogna fare un salto di mentalità, per rispetto a questi giocatori che hano fatto la storia del biliardo, cioé abbandonare per un attimo il romanticismo e pensare e slegare il biliardo dal bar come ormai hanno fatto tutte le altre discipline biliardistiche. Altrimenti questi meravigliosi ricirdivsvanuraano per sempre insieme al biliardo boccette come sport.
Certo ci vuole un salto di mentalità come dici tu. Ma senza dimenticare le storie dei miti del panno verde.
Ma quando si inizierà? Ho paura che nessuno oggettivamente voglia fare questo salto di qualità mentale. Certo ora ci sono le scuole che cercano di inserire il biliardo boccette all’interno della didattica ma da quanto so gli unici che si sono messi in discussione per aiutare tale iniziativa sono stati il Cicognani e Mazzarini e bona lé per cui si va ben poco in là
Non so dirti. Non dipende da me. Vedremo.