Ci ha lasciato un altro protagonista del biliardo imolese negli anni Settanta, Romano Manaresi. Ho scritto un articolo per il settimanale Sabato Sera che pubblico anche qui. Poi, in coda all’articolo, un ricordo personale da cui nasce il titolo a questo pezzo.
Rumanò aveva un modo tutto suo di lanciare le boccette. Non era un gesto classico, elegante, alla Gianni Minardi, alla Domenico Bassi, o alla Beppe Trinca. Vedevi la palla scaturire improvvisamente dalla sua manona di contadino, rimbalzare due o tre volte sul panno verde prima di colpire la sponda superiore e pensavi oddio, chissà dove terminerà la corsa stavolta. Invece quasi sempre si fermava al posto giusto, cioè a qualche millimetro dal pallino.
Romano Manaresi cominciò a giocare a biliardo negli anni Sessanta al Las Vegas di Marino, al secolo Graziello Carmonini. Poi fu “convocato in Nazionale”. Sì perché la squadra del Celsi, che raccoglieva tutti i migliori giocatori di biliardo imolesi dell’epoca, la chiamavamo proprio così: era la nostra Nazionale, nata per sfidare i mostri sacri di Bologna. Il venerdì sera le tribune del circolo di via Emilia si riempivano regolarmente di spettatori, pronti a fare il tifo, ma anche ad ammirare le giocate dei vari Tassi, Piazzi, o del mitico Stecchino che arrivava ogni settimana da Milano per la partita di campionato.
Col Celsi, Rumanò riuscì a vincere il Campionato Provinciale a squadre nel 72-73, culminato in una finale al Palasport di Bologna pareggiata 3-3 con la Coop Anzola e non conclusa perché era il periodo dell’austerity e si doveva andare tutti a “nanna”. Ne ho già parlato in questo blog. Vale la pena citarla per intero quella squadra: singoli Casadei e Saetta Agostini; coppie Thomas Brusa-Gulmanelli, Trinca-Bassi, Minardi-Dall’Aglio (Il Fornaio) e appunto Manaresi-Poggi (la riserva era Ferretti).
Con Poggi, meglio noto come La Baldracchina, Rumanò formava una coppia perfetta. Tanto estroso, estroverso, talentuosissimo La Baldracchina, uno dei bracci più mortiferi che si siano visti a Imola, quanto tranquillo, riflessivo, di poche parole il suo compagno di coppia. Dopo il Celsi Manaresi continuò a giocare alla Bocciofila, poi al Lazzerini e alla Tozzona. Lo chiamavano Il Mulo perché non si arrendeva mai. Ci ha lasciato il primo di giugno e con lui se n’è andato un altro pezzo di storia del biliardo imolese.
Fin qui l’articolo per Sabato Sera. Ma voglio ricordare anche un’altra chicca che riguarda Manaresi. L’episodio accadde nel 1979 in un torneo per le terne. Copio fedelmente quello che io stesso scrissi su ImolaSport in quella occasione.
Una delle formazioni finaliste doveva essere quella con Manaresi e Dall’Osso in coppia, più Poggi singolarista. Purtroppo, proprio quella sera, Dall’Osso stava male e gli altri due si videro costretti a giocarsela da soli. Manaresi, con due boccette contro la coppia avversaria, nel tentativo di mantenere il distacco in limiti tali da permettere a Poggi una rimonta contro il singolarista avversario. Ebbene la cosa è riuscita nella prima partita. Contro una coppia del Garden infatti Manaresi riusciva a ottenere con due boccette contro quattro la bellezza di 38 punti, e Poggi faceva il resto, aggiudicandosi l’incontro tra la sorpresa dei presenti. La stessa performance però non riusciva nell’incontro seguente, così che i due non hanno potuto regalare all’amico malato l’insperata possibilità di partecipare alla finalissima, che si sarebbe svolta più avanti.
Indimenticabile il titolo di Sabato Sera in quella occasione: “Manaresi, che due palle!”.
Spesso anche il nostro grande Gullino di Genova faceva saltare la boccetta due o tre vote sul panno e poi finiva attaccata al pallino.
Gullino è stato un grandissimo. Grazie.
Romano e Dario, suo cugino, grandi a boccette e, Dario, a goriziana. Nei commenti ho, erroneamente, scritto fratello. Ciao, il Prof
Ciao. Ho visto il commento a cui ti riferisci su Facebook. Forse non ho conosciuto il cugino. O non me lo ricordo.
Giocatore non “raffinato”, ma di sostanza, grintoso, correttissimo in campo e fuori. In alcune partite di coppia l’ho incontrato e la partita era per lui terminata quando “arbitro fischia”, non lasciava mai.
R.i.p. Rumanò
Esatto. Descrizione perfetta.